Ci sono animali che, per il fatto di avere un atteggiamento estremamente schivo ed essere di conseguenza poco facilmente visibili, subiscono gli effetti di un florido lavoro di fantasia da parte dell’uomo. Quest’ultima, a sua volta, è in grado di attribuire al povero malcapitato poteri o comportamenti straordinari ma, allo stesso tempo, di antropomorfizzare l’animale riservandogli debolezze e frustrazioni tipiche invece dell’homo sapiens. La famiglia dei canidi rappresenta in questo senso un esempio eccellente. Il lupo, ancor prima che arrivasse la favola di Cappuccetto Rosso, è stato spesso il simbolo del male fattosi carne e la cultura popolare di ogni latitudine è da sempre ricca di eccezionali quanto improbabili prodigi attribuiti alla sua natura. La volpe rappresenta a sua volta l’incarnazione della furbizia per antonomasia. Diverso è invece il caso del coyote. I cinefili lo hanno visto decine di volte fare da contorno ai film di genere western in un ruolo simbolico non molto diverso da quello del lupo: incutere rispetto e raggelare il sangue con il suo ululato. Milioni di altre persone, tuttavia, lo identificano ancora nell’ingegnoso quanto sfortunato Wile E. Coyote, protagonista insieme all’imprendibile Roadrunner di una fortunata serie di cartoni animati. Sul coyote pesa dunque questo doppio effetto di fascino e di ridicolo. Ma qual’è la verità?

La risposta è semplice: né l’uno né l’altro. Non siamo di fronte ad una terribile macchina di morte e tantomeno ad un animale poco intelligente. Anzi, si può dire che proprio la straordinaria capacità del coyote di adattarsi a diversi tipi di habitat gli ha permesso non solo di sopravvivere, ma anche di ricollocarsi in quelle nicchie ecologiche lasciate vuote proprio dal progressivo sterminio del suo più stretto parente, il lupo. Tra questi due canidi, per altro, sono maggiori le similarità piuttosto che le differenze. Partiamo da queste ultime. Sul piano strettamente morfologico il coyote (canis latrans) risulta più piccolo rispetto al lupo (canis lupus). Se la lunghezza del tronco (compresa la testa) è grossomodo simile a quella ad esempio del nostro lupo appenninico (circa 100 centimetri) è sul piano dell’altezza al garrese e del peso che si fanno sentire le maggiori differenze: il coyote arriva in media a 55-65 centimetri di altezza per un peso compreso tra gli 11 ed i 34 chili, a seconda delle latitudini. Poco, se pensiamo che il lupo del Nord America, ad esempio, può superare i 60-70 centimetri d’altezza ed arrivare a 80 chili di peso. Orecchie e piedi sono poi più piccoli, mentre la corporatura è generalmente più snella. Notevole è invece l’areale di diffusione di questo canide. Il coyote copre attualmente una vasta fascia continentale che va dall’Alaska al Centro America e può contare su ben 19 sottospecie tra cui il canis latrans incolatus (in Alaska), il canis latrans latrans (nell’America centrale) ed il canis latrans texensis (in Texas); ciascuna con una particolare varietà di colore del mantello e di struttura del corpo.

Sul piano più propriamente etologico lupo e coyote segnano poi ulteriori differenze. A partire dall’alimentazione. Il coyote si ciba prevalentemente di carogne e di piccole prede, in particolare di roditori, uccelli, lucertole, insetti, batraci (rane e rospi), senza tuttavia sdegnare frutti o vegetali. Il lupo, invece, predilige in genere le grandi prede (cervi, alci, caribù) e solo in casi particolari – nel caso ad esempio sia un lone wolf, ovvero un lupo solitario costretto a cacciare da solo – può nutrirsi anch’esso di animali più piccoli. Alla base di questa differente “dieta” c’è una ragione precisa. Nel coyote non troviamo infatti quella struttura gerarchica tanto complessa quanto funzionale che incontriamo invece in un branco di lupi. Il canide americano caccia generalmente in coppia con la propria compagna e solo talvolta si aggrega ad altri conspecifici per affrontare animali di taglia grossa. Senza l’appoggio del branco, dunque, risulta difficile se non impossibile predare erbivori ben più grossi e pesanti di lui. Il legame che si forma tra maschio e femmina di coyote ricorda tuttavia molto da vicino quello che forma la coppia “alfa” nel lupo. Generalmente monogamo, il canis latrans si comporta nei confronti dei cuccioli esattamente come farebbe papà lupo. Contribuisce all’allevamento della prole procurando il cibo e – arrivato il momento giusto – offrendo loro quel tipico pasto caratterizzato dall’intruglio di carne predigerita e rigurgitata così simile agli omogeneizzati che si usano per i nostri neonati. Non avendo una vita sociale stabile, tuttavia, non può contare come il lupo sull’aiuto degli altri membri del branco che fungono da vere e proprie baby sitter per i cuccioli. Ne consegue che i piccoli coyote debbono darsi presto da fare per rendersi autonomi: in media a circa sei-sette mesi di vita risultano già in grado di lasciare mamma e papà per cercarsi un nuovo territorio di caccia. Quest’ultimo, in genere più piccolo rispetto a quello del lupo, è continuamente percorso in lungo ed in largo per rinsaldare quei confini odorosi (grazie alla marcatura d’urina ed alle defecazioni) che lo delimitano.

Ad accomunare canis lupus e canis latrans è poi anche l’altissima mortalità infantile. Nel lupo può toccare anche il 50% in un periodo compreso tra i primi 5-10 ed i 17-22 mesi di vita e dati simili sono senz’altro riferibili anche al coyote. Cimurro, infezioni da parassiti e uccisioni da parte di conspecifici più anziani o detentori di altri territori pronti a difendere i loro spazi sono all’ordine del giorno. A questi si aggiunge la caccia portata avanti dall’uomo. Stragi terribili sono state portate avanti nei decenni scorsi ed ancora oggi persiste una grossa disputa sull’utilità o meno di questo canide. Da una parte sono schierati i biologi, che ricordano il prezioso lavoro di “spazzino” proprio del coyote grazie al suo cibarsi – tra le altre cose – di carogne e il ruolo fondamentale che esso ricopre nell’ecosistema; dall’altra sono invece gli allevatori di bestiame, che lamentano ogni anni perdite ingenti di capi e premono dunque per una sua drastica riduzione. A questi si affiancano poi i cacciatori, che vedono nel canis latrans ma anche nel lupo un pericoloso concorrente diretto nella predazione degli erbivori più di valore. Di fronte a questa vera e propria campagna contro il coyote sono stati presi dei provvedimenti grazie all’impiego di rimborsi economici agli allevatori che dimostrassero l’effettivo danno provocato da questo selvatico (frequenti sono infatti i casi di sterminio di bestiame provocati dai cani rinselvatichiti). Più di ogni altra cosa ha però contribuito la natura schiva ed intelligente del coyote. La sua capacità di adattarsi ad ogni clima e ad ogni possibile fonte di nutrimento; la sua spiccata attitudine a muoversi in maniera circospetta, senza mai dare troppo nell’occhio. Caratteristiche, queste, che forse più di tante altre lo rendono simile al lupo. Sebbene non possa godere di altrettanto fascino, almeno per chi vive in quest’altra metà del mondo.

Stefano Nicelli
(tratto da www.logogest.it)